Patrizia Bambini, in questa sua opera, mostra come solo la tenebra può illuminare la coscienza, annientando, con la luce dei suoi versi, quel buio ancestrale dove tutti noi brancoliamo. Per capire ciò, ed è quello che sembra indicarci l’autrice, non importa avvicinare gli dei, occorre solo un individuo che abbia umile accesso alla radice della parola, e che quando scrive lo faccia su stracci e con respiro fioco, ma colmo di coraggio, sussurrandoci che siamo, come lui, una questua, un’elemosina, una tasca vuota. Leggere Patrizia Bambini significa ascoltare la voce di una piuma che cade lontano da echi di frastuono. Ingoiare i suoi versi è come il susseguirsi d’impronte incerte che portano a lidi oscuri e luminosi insieme. Punti di luce e buio sono una costante altalena della sua poesia, dove s’aggira, insistente, lo spettro di un’umanità sconfitta, fragile e sparuta, dove però, improvvisi, s’accendono lampi di bellezza e di fresca speranza, tanto che essa pare invitarci a vivere sospesi alla voce eterna del dire poetico. (Dalla Postfazione di Francesco Zanoncelli)
 
 
L'Autrice:
 
Il tema dell’abbandono domina questa raccolta che ricompone il senso della perdita in una salma d’amore e ne impedisce la decomposizione, forse è solo una reliquia, una lacerazione invisibile che non si può suturare ma alla quale si sopravvive, mutati e uguali nella percezione. Le poesie d’amore soffrono di una omologazione espressiva quasi d’obbligo poiché accomunate da un medesimo destino. Ma qui, in queste poesie, ci troviamo davanti a un risvolto insolito. Pur restando una grazia femminile a dispiegare questo canto, improvvisamente un libeccio sferzante lo attraversa cambiando i sapori, dal miele al fiele. E tra le pieghe della mestizia, salgono i toni di una sfida, un rancore, un sofferto disprezzo, che subito cadono per salvare il proprio vissuto, per non cancellarlo con un colpo d’inchiostro. Uno stile immediatamente riconoscibile per spontanea originalità e coraggio, un’espressività che ondeggia tra dolcezza muliebre e irruenza maschile, la fusione ambivalente di due generi in uno. Il tutto con gentilezza. (Dalla Prefazione di Mauro Macario)